Tre cose che bloccano il pensiero creativo
Lo dico sempre, e lo ripeto anche qui: il pensiero creativo non è una cosa che hanno solo gli artisti, non è una qualità che o si ha o non si ha, non è una roba immutabile. È vero, non abbiamo tutti la stessa dotazione di partenza ma tutti possiamo lavorarci e migliorare.
Oggi lo facciamo imparando a vedere (e neutralizzare) le tre cose che agiscono sul tuo pensiero creativo come un’àncora, tenendolo bloccato e impedendo a te di avere – facilmente – nuove idee.
1. Le domande che non (ci) facciamo
Le domande sono preziose. Anzi, quando devi raccontarti sono oro, sono un punto di partenza che ti apre strade inaspettate e ricche di contenuti.
Ti faccio un esempio, così concretizziamo un po’ il concetto.
Immagina che stamattina non ti sia suonata la sveglia. Una cosa semplice, un inciampo che può succedere e a cui però puoi reagire in due modi: ignorandolo o facendoci nascere intorno delle domande, che poi trasformerai in contenuti. Tipo:
– come ho reagito all’imprevisto?
– che soluzioni ho adottato per recuperare?
– che altri tipi di inciampo possono succedere nel mio lavoro o in quello dei miei clienti?
Ecco: come potresti trasformare le risposte a queste domande in contenuti del tuo storytelling?
2. Il non azzardare
Azzardare cosa? Pensieri, sguardi, prospettive.
Il nostro cervello ama la stabilità e cerca sempre di percorrere le strade che conosce. Questa sua (nostra) attitudine ha due conseguenze: ci fa impigliare nella routine mentale – ne parliamo bene al punto successivo – e ci inibisce gli azzardi di pensiero.
Esempio. Sei un’artigiana e la parte più bella (e difficile) del tuo lavoro sono le personalizzazioni. Adesso prendi questa cosa che sai di te (che è lì davanti ai tuoi occhi) e giocaci, esagerala, stiracchiala da tutte le parti come se fosse plastilina.
Come? Così: e se questo fosse un mondo in cui ci sono solo cose in serie e non esistessero le unicità, le personalizzazioni? E se, al contrario, tutti ti chiedessero solo personalizzazioni complicatissime? Se dovessi scegliere di personalizzare un solo aspetto del tuo lavoro, quale sarebbe? Se potessi farne solo una all’anno, quale sceglieresti?
Probabilmente le risposte a queste domande non saranno il nuovo argomento del tuo blog o della tua newsletter, ma ti faranno pensare in modo più elastico e magari, continuando a lavorare quella palletta malleabile che è il pensiero del momento, arriverà un’idea. E poi un’altra, e un’altra ancora.
3. La routine mentale
Come ti accennavo poco fa, al nostro cervello piace percorrere sempre la stessa strada. Così risparmia energia, che è uno dei suoi obiettivi principali (perché ne consuma ASSAI, una cosa come il 20% di quella totale che serve al corpo).
Tradotto: se siamo abituate a vedere la nostra tazza di caffè solo come una tazza di caffè, difficilmente prenderemo un’altra strada e la trasformeremo in un’idea nuova.
A meno che.
A meno che non obblighiamo il nostro cervello a mollare la sua routine e a cambiare prospettiva. Così, per esempio:
– la tazza di caffè non è un semplice caffè, è un rito: posso raccontarlo, raccontare gli altri miei riti legati al lavoro, alla quotidianità;
– la tazza di caffè è pericolosa perché mi posso scottare: quali altri pericoli ci sono nel mio lavoro?
– il caffè, se lo lascio lì, si raffredda: ci sono cose legate alla mia professione che ho aspettato troppo prima iniziare a fare? E cos’è successo? Cosa mi hanno insegnato?
Visto? Basta un po’ di allenamento e anche una tazza di caffè diventa una nuova strada da percorrere. Anzi, tante strade.
Prova, gioca, sperimenta. Se ti va, partendo da qui.
(foto Audrey Fretz on Unsplash)